Gli Statuti di Bormio

Statuti di Bormio

Gli Statuti di Bormio rappresentavano tutta la raccolta delle leggi penali e civili che regolamentavano la vita nella Magnifica Terra.

La data di nascita di questi statuti è incerta. Sicura e documentata è la loro revisione del 1530 – affidata ai giurisperiti Luigi Lambertenghi, Cristoroforo Quadrio, Giovanni Marlianici e Gian Andrea Schenardi – che ha creato la Statuta nova, sottointendendo che vi fosse una precedente Statuta vetera.
Gli Statuti di Bormio vennero completamente riscritti nel 1563 e periodicamente aggiornati, fino a contenere 333 articoli civili e 68 articoli penali. Vennero poi abrogati quando cadde il Contado nel 1797 e Bormio venne annessa alla Repubblica Cisalpina

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Gli Statuti del 1549

Anche se presso l’archivio comunale di Bormio è presente una versione redatta su pergamena risalente al 1510 – l’anno è confermato dal timbro regio posto dal Re di Francia Luigi XII – è praticamente certo che molte delle leggi erano già in vigore fin dal XIV secolo.

Il potere era amministrato da un podestà esterno – carica poco ambita, visto che era senza alcun potere legislativo – e dal Consiglio del Popolo, formato da 120 membri: 60 bormini e 20 a testa per Valfurva, Valdidentro e Valdisotto. A questa assemblea era dato il compito di eleggere magistrati e decidere le tasse. Una ristretta cerchia di 33 membri aveva il compito poi di renderle esecutive. Gran parte dei servizi erano municipalizzati e stipendiati dalla collettività, questo per far fronte agli scarsi approvvigionamenti di materie prime.

Gli Statuti di Bormio regolamentavano completamente la vita bormina, cercando di gestire in maniera equa le risorse. Erano molto poco permissivi a riguardo delle violazioni delle leggi, punite sempre in maniera esemplare. Nelle prossime settimane andremo a spulciarli un po’, stanando le leggi più curiose e quelle che, fossero ancora in vigore, farebbero la felicità degli abitanti della Magnifica Terra.

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