Statuti di Bormio: in vino… caritas!

Statuti di Bormio

Abbiamo già parlato degli Statuti di Bormio, le leggi che vigevano nella Magnifica Terra fino alla fine del diciottesimo secolo. Adesso andiamo a spulciarne qualche curiosità.

Oggi parliamo delle leggi che si riferiscono al vino. Come sottolineato nel bel libro di Guido Peggion e Giuseppe Ramazzotti, nella zona di Bormio le materie prime non sono mai state molto fiorenti, vuoi per il clima rigido e vuoi per la terra non particolarmente fertile, rendendo difficoltoso il sostentamento per molti cittadini. Tra i vari approvvigionamento che il Comune gestiva direttamente c’era anche quello del vino, con ufficiali comunali che gestivano le taverne pubbliche. Per evitare i cosiddetti “furbetti”, era vietato per legge che acqua e vino stessero negli stessi luoghi.

Il taverniere del Comune non potrà tenere acqua nella cantina dove conserva il vino; e non dovrà né annacquare, né adulterare e né rubare, ma custodire in tutta onestà e senza frode tutto il vino che sarà nella taverna. Se lo sofisticasse, lo annacquasse o lo rubasse dovrà pagare un’ammenda di 10 lire al Comune e restituirlo triplicato. Oltre a questo sarà sospeso da ogni ufficio per i prossimi dieci anni“. (art. 62 Statuti di Bormio).

Come potete leggere, non si scherza con il nettare degli dei. Ma i cittadini di Bormio non erano solo molto ligi al dovere, ma anche consapevoli di fare parte di una comunità chiusa ma amorevole.

“Ogni anno il comune di Bormio dovrà, per amore di Dio, dare le sotto elencate quantità di vino ai poveri dopo la comunione nei giorni di giovedì santo e nella Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.” (art. 63 Statuti di Bormio).

Ogni anno compariva l’elenco dei bisognosi a cui, durante le feste comandate, non si negava un buon bicchiere. In vino.. caritas!

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